lunedì 28 marzo 2011

Cinque candidati per il dram team..!

Per la squadra dei sogni, serve l’uomo dei sogni. Per guidare una squadra di campioni, serve un campione. Chi deve allenare la Roma americana?
Montella che la già sta allenando? Oppure Ancelotti? O forse i sergenti di ferro Capello e Mourinho, o il suo discepolo Villas Boas? Il tema c’è, lo dimostrano le centinaia di messaggi spediti alla nostra redazione dai tifosi per mail, sms e soprattutto sulla pagina Facebook de Il Romanista. Vincenzino sta facendo benissimo, in campionato non ha mai perso, ha vinto un derby che per la squadra sapeva di ultima spiaggia, ha riunito sotto le proprie insegne una legione che pareva allo sbando, ha ridato stima e fiducia. Dietro quella faccia da bravo ragazzo si nasconde un lavoratore instancabile. Top Gun, uno spallettiano convinto, ha rispolverato il 4-2-3-1 perché ha capito che continuare con gli altri moduli era inutile. Si può nuotare controcorrente? Sì, però è inutile. L’anno scorso la Roma volava sulle ali dell’entusiasmo anche con la complicità di qualche partita vinta fortunosamente, vedi a Firenze e in parte a Torino, dove Riise ti porta in vantaggio quando ormai la gara sembra avviata a concludersi in parità. All’inizio della nuova stagione, le incomprensioni hanno rapidamente spazzato via la Roma che fu, facendo affiorare certi limiti e nervi tesi. È arrivato Montella e la Roma ha ritrovato tutto: modulo e un equilibrio mentale fondamentale. Vincenzo piace per questo. Se dovesse centrare il quarto posto e magari, perché no?, conquistare la Coppa Italia, allora il toto-allenatori potrebbe anche interrompersi. In caso contrario, DiBenedetto potrebbe decidere di fare altre scelte. In cima ai desideri del futuro presidente c’era mesi fa Guardiola. Il rinnovo con il Barcellona ha azzerato le possibilità che il buon Pep torni a Roma, stavolta in veste di tecnico. Il candidato numero uno è diventato allora Carletto Ancelotti. Guida il Chelsea tra alterne fortune - la Premier è quasi svanita, le coppe nazionali pure, ma in Champions è ai quarti con lo United - se Abramovich non lo caccia prima, resta. Il suo contratto scade nel 2012. Apparentemente, Carletto non vuole pensare a un addio anticipato.
VINCENZO MONTELLA «Non mi sento un traghettatore» aveva detto il giorno della presentazione. Lo sta dimostrando. Vincenzo Montella si è seduto sulla panchina della Roma e ha cominciato a lavorare. Taccuino alla mano senza paura di prendere decisioni, a volte anche impopolari. E i risultati finora gli hanno dato ragione: 3 vittorie e 2 pareggi in campionato. Una sola sconfitta, quella di Donetsk, in una partita condizionata dal risultato dell’andata. Merito suo o reazione fisiologica a qualsiasi cambio di allenatore? Di certo il suo arrivo ha ridato entusiasmo all’ambiente e alla squadra. Adesso, però, per lui arriva il difficile. Perché svanito l’effetto "novità" c’è da dare quel qualcosa in più per provare a centrare il quarto posto e la vittoria in Coppa Italia. Ragionando come se fino ad ora non avesse fatto ancora nulla. Solo compiendo una mezza impresa si potrebbero aprire per lui le porte di un futuro ancora da allenatore della Roma. Come? Continuando a fare quello che ha fatto dal primo giorno un cui è stato chiamato "mister". Davanti aveva ragazzini di 15 anni ai quali, solo a vederlo, tremavano le gambe. Lui li ha conquistati, con i suoi metodi, la sua scrupolosità, la puntualità, l’attenzione ai dettagli, portandoli ad un passo dalla vittoria del tricolore, fermati solo in finale dal Milan. Quest’anno aveva ricominciato allo stesso modo, anzi meglio: 21 vittorie su 21 in campionato. Poi la chiamata dall’alto: c’è da prendere la Roma, quella dei grandi. Dal 4-3-3 è passato al 4-2-3-1 spallettiano, ma Montella è rimasto lo stesso di sempre. Voglioso di vincere senza essere un traghettatore. Se non di se stesso.
ANDRE' VILLAS BOAS In Portogallo lo hanno già soprannominato lo “Special Two”. Palese il riferimento allo “One”, Josè Mourinho, del quale è stato collaboratore fin dai tempi in cui l’attuale tecnico del Real era al Porto. Insieme hanno lavorato anche al Chelsea e all’Inter, poi dal 2009 Luís André Pina Cabral Villas Boas (più semplicemente chiamato André Villas Boas) ha preso la sua strada cominciando con l’allenare l’Academica de Coimbra, una squadra che era allo sbando e per la quale la salvezza sembrava un miraggio e che lui ha portato all’undicesimo posto nel campionato portoghese. Tanto da convincere il Porto ad ingaggiarlo. Anche lì sta facendo meraviglie con 68 punti in 24 giornate con 22 vittorie e 2 pareggi e un contratto in scadenza nel 2012. Roba da record, roba da Mourinho. Ma lui ci tiene a dire «Non sono il clone di nessuno». Un bel caratterino. Lo ha sempre avuto. Ed è grazie a questa sfrontatezza e sicurezza in se stesso che è arrivato ad allenare pur senza aver mai giocato a calcio. A 16 anni era vicino di casa di Bobby Robson e lasciò una lettera al tecnico inglese dandogli alcune indicazioni sull’utilizzo dell’attaccante Paciencia. Robson, colpito, lo inserì nel suo staff come osservatore. E così conobbe anche Mourinho, allora assistente di Robson. Poi ha bruciato tutte le tappe andando persino ad allenare, a 22 anni, le Isole Vergini e vincendo tutto con Mou. Ora, a soli 33 anni, è dipinto come l’allenatore del futuro. Meglio di Mourinho, meglio di Gardiola? Forse. Sicuramente una scommessa affascinante.
CARLO ANCELOTTI Ripartiamo da lì. Dal 26 luglio del 2007, dalla festa per gli 80 anni della Roma. Quella notte Carlo Ancelotti disse una frase che aprì i cuori di tutti i tifosi romanisti: «Il destino ha voluto che io non giocassi la Coppa Campioni, ma la rivincita prima o poi capita. A me è capitata e mi auguro che possa ricapitare anche a voi». Una sorta di appuntamento con la storia a cui magari presentarsi insieme. Per cancellare quel 30 maggio 1984. Lui lo ha già fatto due volte. La seconda è stata quella della vendetta completa con la Coppa finalmente sollevata sotto gli occhi del Liverpool (due anni prima per Carletto c’era stata anche la notte da incubo di Istanbul). Ma è nella prima che più di tutti si è visto l’atteggiamento da vincente dell’Ancelotti allenatore. Era il 2003 e a 4 giorni dalla finale di Champions contro la Juve, Ancelotti si presentò per la conferenza stampa di presentazione della finale di Coppa Italia contro la Roma. Distratto? Macché. Il suo pensiero era tutto in questa frase: «Ora noi pensiamo solo alla Coppa Italia perché è un trofeo ». Detto, fatto. Il Milan vinse all’Olimpico 4- 1, ipotecò quella Coppa e 3 giorni dopo si prese pure quella dalla grandi orecchie. Mentalità vincente, carattere. Quello che Ancelotti ha dimostrato di avere in tanti anni passati con presidenti dalla personalità ingombrante. Prima Berlusconi, poi Abramovich. Lui è rimasto saldo al suo posto, posato sulle sue convinzioni. E ha vinto. Tanto, tutto. Campionato italiano, Coppa Italia, Supercoppa Italiana. Premier, Fa Cup, Community Shield, Intercontinentale. Tutto una volta, più due Supercoppe Europee e due Champions. La terza col Chelsea? Oppure a Roma. C’è un appuntamento col destino.
JOSE' MOURINHO Josè Mourinho ha una cosa in comune con Vincenzo Montella: anche lui ha cominciato dalle giovanili. Nel 1987, infatti, era alla guida degli Allievi del Vitoria Setubal, la squadra della sua città. Prima aveva tentato di sfondare come calciatore, ma ebbe la lucidità di capire che non avrebbe mai fatto strada. A 24 anni si siede così in panchina forte delle conoscenze acquisite facendo il professore di educazione fisica e delle esperienze fatte lavorando con ragazzi affetti da problemi motori, prima, e mentali, poi. Nel luglio del 1992 diventa interprete di Bobby Robson allo Sporting Lisbona e lo segue al Porto e al Barcellona. Le prime due esperienze da primo allenatore arrivano col Benfica e con l’União Leiria che porta al quinto e al terzo posto. Poi l’avventura al Porto con la conquista della Coppa Uefa e della Champions. Un altro si sarebbe accontentato, non lui. Che arrivando al Chelsea disse: «Se avessi voluto un lavoro facile sarei rimasto al Porto, con una bellissima sedia blu, una Champions in bacheca, Dio e dopo Dio il sottoscritto». Il resto della storia lo conosciamo bene, compresa l’ultima dichiarazione d’amore fatta alla Gran Bretagna giusto qualche giorno fa: «La gente mi chiede perché mai io ami così tanto l’Inghilterra, ma io non riesco a spiegarlo, è così e basta. Parlerò con il mio procuratore per gettare le basi di una nuova esperienza nella mia carriera, voglio essere felice quando lavoro». Un ritorno in Italia è dunque impossibile oltre che economicamente pesante? Con Mourinho nulla è impossibile...
FABIO CAPELLO Di Fabio Capello i romanisti conoscono tutto. Qualità e difetti, capacità e limiti. Il suo sarebbe il classico caso di un cavallo di ritorno. Quello che di solito non paga in termini di risultati. Ma è pur vero che per Don Fabio non sarebbe la prima volta. Gli è già capitato, infatti, ben due volte di tornare sul luogo del delitto, o meglio su quello del trionfo. La prima nel 1997 quando rientra dalla Spagna per tornare al Milan dove aveva vinto tutto tra il 1991 e il 1996. Ma non riesce a ricreare l’alchimia ed è un flop clamoroso con i rossoneri che terminano il campionato al decimo posto. Nel 2006 ci riprova e stavolta gli va meglio perché, come 10 anni prima, fa centro al primo colpo sulla panchina del Real Madrid. Nella prima occasione (nel 1996) era riuscito ad avere la meglio sul Barcellona di Ronaldo e a portare a casa la Liga. Al secondo tentativo succede lo stesso, anche se stavolta il Fenomeno ce lo ha in squadra e spesso lo lascia in panchina per scelta tecnica. La sua fama di "vincente" si è però incrinata la scorsa estate. Al mondiale suadafricano la sua Inghilterra era una delle favorite in buona parte proprio perché alla guida della nazionale di Sua Maestà c’era lui. E invece è stato un disastro: un girone eliminatorio mediocre e poi il ko per 4-1 con la Germania negli ottavi. Ora ha l’occasione di rifarsi con l’Europeo del 2012, anno in cui scadrà il contratto con lo lega alla FA. A meno che non decida di far ritorno in Italia in anticipo...!

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