Che la firma sia oggi, domani o dopodomani, che Mr DiBenedetto sia già a Roma o stia per arrivare, non cambia la sostanza delle cose: dopo numerosi abboccamenti, dopo anni di voci e rumors spesso non solo infondati, ma talvolta veicolo di oscure operazioni speculative, la Roma diventa americana. Si tratta di un evento storico, non solo per i romanisti, ma per tutto il calcio italiano.
Infatti, per la prima volta una squadra della serie A italiana ha una proprietà straniera. La prima domanda a cui rispondere è: si tratta di un male o di un bene?
Io dico che è un bene. E non solo per il calcio. Con buona pace della retorica sciovinista sull’italianità delle nostre imprese, che spesso nasconde solo la difesa di privilegi che poco hanno a che fare con le leggi del mercato economico. Infatti, è proprio questa storica incrostazione protezionistica, insieme all’elefantiasi burocratica e alla corruzione, che blocca l’afflusso di capitali esteri nel nostro paese. Se, per una volta, e attorno a un “asset” di grande valore simbolico, un gruppo di importanti investitori americani sceglie Roma e l’Italia, ciò dovrebbe essere considerato un fatto positivo per tutti. Diciamolo chiaro: la famiglia Sensi, la cui uscita di scena dovrebbe essere salutata con affetto, stima e riconoscenza, si è dissanguata per contrastare per un ventennio lo strapotere calcistico del Nord, rappresentato dalla Triade Juve-Inter-Milan, un concentrato di potere calcistico-economico-politicomediatico che non ha eguali nel mondo.
Nessun altro grande imprenditore, romano o no, comunque italiano, ne ha voluto raccogliere l’eredità, perché nessuno ha trovato il coraggio necessario per sfidare la Triade. Tutti sanno come funziona il sistema di potere calcistico in Italia e nessuno ha voluto rischiare.
Da questo punto di vista, l’avvento di Mr Tom DiBenedetto, che certo non è uno sprovveduto né un ingenuo, rappresenta un fatto rivoluzionario. Se ha preso la Roma, con un investimento economico molto consistente, non è per far da contorno ai soliti padroni del calcio italiano. L’ha fatto per vincere, perché solo vincendo si può fare del calcio un business vantaggioso. E dunque, ne siamo certi, non guarderà in faccia a nessuno, e pretenderà che i campionati siano decisi solo e soltanto dai valori espressi sul campo. La sua presenza, che fa della Roma una squadra del mondo globale, fungerà da deterrente per i soliti traffichini del calcio italiano verso i quali la nostra giustizia è fin troppo indulgente.
Insieme all’avvento del fair play finanziario voluto da Platini, la Roma
americana può rappresentare la fine del calcio corrotto in mano ai soliti potentati che possono investire risorse economiche infinite, muovere le leve della politica, controllare i media (il trattamento riservato in questi anni alla famiglia Sensi e alla Roma è molto indicativo).
Mr DiBenedetto arriva dunque suscitando la speranza di una Nuova Frontiera per la Roma e per il calcio italiano. Credo che ne sia cosciente e che dunque sappia che le aspettative sono enormi.
Nei giorni scorsi abbiano dato modo al popolo giallorosso di esprimere i propri desideri attraverso le pagine di questo giornale che del resto è nato ed esiste proprio per raccontarne i sogni. Non so quanto di questi desideri diventeranno realtà. Alcuni di sicuro, altri forse no. Ma sono certo che Mr Tom vuole una Roma grande e tanto mi basta. E dunque, sceglierà manager moderni e competenti, un allenatore con la mentalità giusta, terrà i giocatori senza i quali la Roma non c’è e acquisterà i rinforzi necessari (non sono molti, ma devono essere di assoluta qualità) per farci fare un salto.
Gli suggerirei di tenere a mente per la sua Roma una frase che uno dei più grandi sindaci di Roma, Luigi Petroselli, amava ripetere per la città: «Roma dev’essere una città moderna dal cuore antico». Amore e passione non sono il contrario della managerialità: nel calcio ne sono anzi il fondamento perché senza amore e senza passione il calcio non diventa neppure un business.
A tutti noi, a noi innamorati pazzi della Roma, a noi pronti a esaltarci e avvilirci, a noi dico di abbandonare ogni scetticismo e di credere nella Nuova Frontiera. Lo dico parafrasando il suo profeta, JFK: «And so, my fellow Americans, ask not what your country can do for you – ask what you can do for your country». Perciò, confratelli giallorossi non chiedetevi cosa la Roma farà per voi, chiedevi cosa voi farete per la Roma..!
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