In fondo ieri i giocatori della Roma hanno fatto qualcosa di importante per la causa romanista: hanno aiutato i nuovi proprietari a immaginarsi il futuro. Da ieri tanti dubbi non ci sono più: basta ripartire da zero. O al massimo da uno o due. C’è qualcosa all’orlo della nemesi nel fatto che ci abbia sconfitto una squadra per larghi tratti costruita da Sabatini.
Che invece questa nostra squadra avesse finito un ciclo (per dieci undicesimi quest’anno hanno giocato titolari i titolari del 2006/2007! e si sono pure rimessi a farlo col modulo di Spalletti che però avevano rinnegato!) uno purtroppo l’aveva capito, però c’è sempre l’obbligo di finire con dignità. E ieri c’era l’obbligo invece di stare bene. Di festeggiare qualcosa. Perché scegliete voi qual è il peccato più grande della sconfitta ridicola di ieri contro un Palermo venuto qui in ciavatte possibilmente per perdere il prima possibile.
La classifica sicuramente, il fatto che oggi - e la cosa dà proprio il senso di come stiamo messi - probabilmente ci supera la Juventus di Delneri e Felipe Melo (!); che hai fatto
contento quel ciancicone di Delio Rossi, che probabilmente il campionato lo finirai sotto una squadra che s’attacca ar laser e alle tasche forze (a proposito, Romeo perché sei tu Romeo adesso lo sappiamo, ma stavolta l’alibi merita solo una parentesi). E’ ancora poco per il festival del rammarico in questa galleria unica di occasioni buttate via, in un campionato vissuto alla tanto poi ve ripijamo (roba da un sacco bello, tanto che le coppe le andremo a giocare in Polonia, andata e ritorno, stadio Olimpico e Olimpico stadio). Il peccato più grande è un altro, persino più grosso del gol bestemmiato da Vucinic. E’ la gioia di Udine. Quella pura pazza gioia di Udine. Il pensiero di quell’urlo all’ultimo minuto, macché, all’ultimo secondo che t’aveva inebetito di felicità almeno fino alla mattinata dopo. Tutto quello è come se fosse stato annullato, sprecato, rovinato, anzi peggio: vai a vedere se alla fine abbiamo fatto un piacere alla Lazio... Uno scarabocchio sulla Gioconda, la stecca nell’Inno alla Gioia. Dal sogno americano ci siamo ritrovati nell’incubo siciliano - un altro sbarco all’incontrario - dalle stelle alle stalle (perché dall’America a sotto la Lazio da quelle parti de-vi stare veramente). Però a tutto questo basta.
Basta pure con la retorica che i romanisti non se la possono godere per due giorni di fila. Forse è vero, perché dobbiamo imparare a farlo per mille anni, per una nuova era, una nuova presidenza, un nuovo tutto. In fondo i giocatori della Roma possono fare ancora qualcosa di importante per la causa romanista (oltre a battere la Sampdoria il 22 maggio all’Olimpico): vincere la Coppa Italia. E’ l’ultima stella da prendere per chi non vuole volare via..!
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